Ieri abbiamo portato a casa questa piccola meraviglia. Ha solo due anni, ma nei suoi occhi si legge la tristezza della solitudine.
Quaranta lunghi giorni in un rifugio, aspettando in silenzio che qualcuno si fermasse e dicesse: “Andiamo a casa.”
Nessuno conosceva la sua storia – trovato per strada, magro, impaurito, diffidente verso tutti. Ma quando i nostri sguardi si sono incrociati, è successo qualcosa. Non era una scelta, era un riconoscimento.
La prima notte ha dormito male, si muoveva, piangeva piano, come se avesse paura di perdere tutto questo. Ma al mattino c’era speranza nei suoi occhi.

E oggi è successo un piccolo miracolo: è salito da solo sul divano. All’inizio piano, come per chiedere il permesso, poi si è sdraiato accanto a noi, la testa sulle nostre ginocchia. I suoi occhi dicevano: “Grazie, non sono più solo.”
Durante la passeggiata camminava vicino, toccandoci appena con la spalla, come se temesse di perdersi. Ma quando una palla è rotolata davanti a lui, si è trasformato. Ha corso, l’ha presa e ha scodinzolato con una gioia pura.
La sera, rientrati a casa, si è sdraiato sul tappeto e si è addormentato tranquillo. Nessun abbaio, solo un sospiro profondo. Come per dire: “Sono a casa.”

Poi ha alzato la zampa e l’ha appoggiata sul mio ginocchio. Un gesto lieve ma pieno di fiducia e amore. Aveva capito che non sarebbe mai più stato abbandonato.
Ora esplora ogni angolo, ascolta ogni suono, ma torna sempre da noi. Perché una casa non sono i muri, ma chi ti ama.
Ora sorride. E ogni volta che ci guarda sembra dire:
“Ora sì, ho una casa.”