La notte era agitata. Elena si svegliò di colpo, il cuore in gola. Nella casa regnava un silenzio innaturale. Nessun pianto, nessun rumore.
Si accorse che la porta della cameretta era socchiusa, una tenue luce filtrava fuori. Si alzò e guardò verso il letto di Igor. Vuoto.
Igor, quindici anni, non aveva mai accettato la nascita del fratellino. Da allora era diventato cupo, distante, incapace di nascondere la sua gelosia.
— Igor? — sussurrò.

Nessuna risposta. Solo un lieve scricchiolio.
Aprì la porta. Il suo cuore si fermò. Igor era in piedi, scalzo, il neonato stretto fra le braccia. Il viso pallido, gli occhi spenti.
— Mettilo giù, Igor — disse piano. — Potresti fargli male.
Lui la guardò.
— Non dovrebbe essere qui, — mormorò. — Da quando è nato, tu non mi vedi più.
Elena fece un passo avanti. L’aria della finestra aperta agitava le tende.
— Igor, ti prego.
— Non avvicinarti! — gridò lui.
Il bambino iniziò a piangere. Elena si lanciò verso di lui, lo afferrò. Igor si immobilizzò, poi lentamente posò il piccolo nella culla.

— Non volevo fargli male… — sussurrò, tremando.
Elena lo abbracciò forte. Sentiva il suo corpo scosso dai singhiozzi. Capì che dietro quell’odio c’era solo un dolore immenso.
Sul pavimento giaceva una foto piegata a metà: lei, Igor e suo marito defunto. La raccolse, e per la prima volta dopo tanto tempo, il silenzio della casa le sembrò più dolce.