I soldati si erano abituati da tempo alla vita monotona nel mezzo del deserto. Ogni giorno era uguale: caldo, vento e silenzio. Nessuna notizia, nessuna voce umana, solo il fruscio della sabbia.
Una mattina, il giovane Artiom — una nuova recluta — vide qualcosa muoversi vicino alla sua tenda. Sul terreno secco, un enorme serpente nero era arrotolato in cerchio.
Non attaccava, non si muoveva, lo osservava soltanto. Artiom prese un pezzo di pane e lo porse piano. Il serpente lo prese, tranquillo, poi strisciò via.
— Non sei cattivo, solo affamato — mormorò lui.

I compagni reagirono con rabbia.
— Sei impazzito? Qui non si nutrono i serpenti! Ricordano l’odore e tornano per uccidere!
Artiom sorrise e continuò a portare pane ogni mattina. Tutti ridevano — finché il serpente scomparve.
Da quella notte, Artiom cominciò a sentirsi osservato. Udiva rumori leggeri, striscianti, ma quando accendeva la lampada, non c’era niente.

Tre giorni dopo, il silenzio cadde sul campo. Nessun vento, nessun suono. Artiom uscì dalla tenda e vide il terreno coperto di tracce ondulate. Fece appena in tempo a muoversi: qualcosa di gelido gli avvolse la gamba. Sentì un brivido, poi il buio.
Al mattino lo trovarono morto, senza ferite, senza segni. Solo il viso immobile e l’odore del pane secco nell’aria.
Da allora, nessuno dorme più lì. Dicono che, di notte, il vento porti ancora un sussurro:
— Non è cattiva… solo affamata…