Ogni mattina, la stessa donna anziana entrava nella piccola macelleria del quartiere. Bassa, curva, con un vecchio cappotto e un berretto di lana, spingeva un carrello rumoroso.
— Come sempre… quaranta chili di manzo, — mormorava piano.
Artyom, il giovane macellaio, restava perplesso. Quaranta chili! E veniva ogni settimana. Nessuno sapeva dove abitasse né per chi cucinasse.
Un giorno notò qualcosa di strano: una macchia di sangue secco sulla manica. E quell’odore… non era carne bovina. Era ferroso, forte, quasi insopportabile.

Decise di seguirla.
La donna camminò lentamente fino a un vecchio magazzino abbandonato alla periferia della città. I muri erano crepati, le finestre chiuse con assi. Entrò senza voltarsi. Artyom si avvicinò e guardò attraverso una fessura.
Ciò che vide lo paralizzò.
Sotto una luce tremolante c’erano delle gabbie metalliche. Dentro, esseri umani magri, sporchi, con occhi vuoti. Alcuni si muovevano appena. L’aria era densa di sangue e terrore.
Poi la porta si aprì. La donna era dietro di lui, con un sorriso glaciale e folle.
— Non tutta la carne è uguale, — sussurrò. — Quella umana… è la più preziosa.

Artyom fuggì in preda al panico, chiamando la polizia.
Pochi giorni dopo, la verità emerse: la vecchia rapiva senzatetto e persone sole, tagliando i loro corpi per venderne la carne a clienti ricchi.
Il magazzino fu chiuso. Lei arrestata.
Ma Artyom non dimenticò mai gli occhi dietro le sbarre… né quell’odore metallico che, ancora oggi, sente nei suoi incubi.