Anna era sempre stata orgogliosa di suo figlio, Kirill, un ragazzo tranquillo e riflessivo. Dopo la morte del marito, era cambiato: parlava poco, si chiudeva in sé stesso. Lei pensava fosse solo l’età. L’unica cosa che la rassicurava era vederlo passare ore in giardino, tra i fiori.
Ogni mattina usciva con l’annnaffiatoio, si chinava sulle rose, le toccava con delicatezza. A volte piantava nuovi germogli, altre rimaneva fermo, pensieroso. Anna sorrideva. “Meglio le rose che il telefono,” diceva tra sé.

La vicina, Marina, lo osservava spesso da oltre la recinzione. Il suo vecchio labrador, Ralph, si fermava sempre davanti alle stesse rose, annusava e ringhiava piano. Kirill lo allontanava bruscamente. Marina rideva: “Deve amare il profumo della terra!”
Ma una notte, Ralph iniziò ad abbaiare furiosamente nel giardino di Anna. Marina uscì, seguita da Anna con una torcia in mano. Il cane scavava con forza tra i cespugli di rose. Kirill era lì, immobile, pallido.
— Allontanalo! — gridò improvvisamente.
— Kirill, che succede? — mormorò Anna.
Ralph continuò a scavare, finché apparve un pezzo di stoffa sporca. Marina sussultò. Kirill si mosse, ma Anna lo fermò.

Quando arrivò la polizia, trovarono un sacco sotto le rose. Dentro, il corpo di un uomo. Anna impallidì quando sentì il nome: Piotr Saveliev, un tossicodipendente che l’aveva minacciata.
— L’ho fatto per te, — disse Kirill piano. — Non volevo che ti facesse del male.
Il mattino dopo, le rose furono strappate. Il giardino era nudo, tranne per un solo bocciolo chiuso — silenzioso, come il segreto che avevano nascosto insieme.