Tornavamo a casa tardi, quella sera. Nell’androne si sentiva l’odore di cemento umido e di metallo.L’ascensore era fermo al piano terra, con le porte aperte, e ci entrammo in fretta. Premetti il tasto del nostro piano e iniziai a chiacchierare con mia sorella minore, come facevamo sempre.
Quando le porte stavano per chiudersi, un grosso cane nero si infilò dentro. Il pelo lucido, gli occhi attenti. Nessun collare, nessun padrone.
Feci un passo indietro, e mia sorella si bloccò, appoggiandosi a me. Il cane respirava forte, come se avesse corso a lungo.
L’ascensore si mise in movimento. Il silenzio era pesante. All’improvviso, il cane si avvicinò a mia sorella, le poggiò le zampe anteriori sulle spalle e abbaiò forte, dritto in faccia.

Lei gridò. Io cercai di spingerlo via, ma non ringhiò, non morse — sembrava piuttosto volerci avvertire. Non guardava noi, ma più in basso — verso la pancia di mia sorella.
Per un attimo vidi sotto la sua giacca un piccolo rigonfiamento che sembrava muoversi. Pensai che fosse la paura a farmi immaginare cose, ma il cane ringhiò di nuovo, afferrò la zip con i denti e la tirò giù.
Sotto il tessuto apparve una macchia scura. Mia sorella, pallida, aprì la giacca con le mani tremanti — e vedemmo qualcosa di sottile, lucido, come un filo nero, che strisciava lentamente sulla pelle.
Il cane si lanciò in avanti, afferrò quel “filo” con i denti e tirò con forza. Non ebbi neanche il tempo di gridare: l’ascensore si fermò e le porte si aprirono.
L’animale uscì di corsa, portando quella cosa in bocca. La gettò vicino al vano della spazzatura e abbaiò ancora, finché il filo smise di muoversi.

Quando lo seguimmo, il cane era sparito. Sul pavimento restava solo una macchia scura e viscosa, con un odore forte di ferro. Mia sorella tremava, a malapena riusciva a stare in piedi.
Più tardi, in ospedale, i medici confermarono che sotto la sua pelle c’era davvero un piccolo parassita, probabilmente proveniente da un vecchio giocattolo trovato in soffitta. Nessuno seppe spiegare come il cane avesse potuto percepirlo.
Ma io ricordo ancora il suo sguardo — intelligente, inquieto, quasi umano.
E ogni volta che mia sorella sente abbaiare nel cortile, sorride e sussurra:
— È lui. È tornato per vegliare su di noi. 🐾