Artem, un bambino di sei anni, amava giocare vicino al fiume dietro il suo villaggio. Catturava girini, costruiva piccole zattere e guardava le libellule volare sopra l’acqua. Quella sera il sole stava tramontando e tutto era immerso in una luce dorata.
Vicino alla riva, Artem notò qualcosa di strano: una corda bagnata, sporca di fango, che spariva nel fondo del fiume. Sembrava vecchia, marcia, eppure invitava a essere tirata. Artem, curioso, la afferrò.

Era fredda e scivolosa, come la pelle di un serpente. Tirò piano, poi più forte, finché sentì una resistenza. Qualcosa di grande e pesante si mosse sotto l’acqua. Il cuore gli batteva all’impazzata, ma non riusciva a smettere.
L’acqua si agitò, bolle salirono in superficie, e infine apparve una vecchia cassa di legno, coperta di alghe e fango. Artem la tirò fino alla riva e, con un bastone, sollevò il coperchio.
Un odore terribile si diffuse. Dentro, tra la melma, c’era una bambola antica, con un volto quasi umano. Gli occhi di vetro, torbidi, fissavano il bambino. Al collo portava un’etichetta su cui si leggeva: «Lena, 1994.»
Artem lasciò cadere la corda e corse a casa, spaventato.

Quando suo padre andò al fiume più tardi, la corda era ancora lì, ma la cassa era sparita. Nella melma restavano solo impronte – quelle di un bambino e altre più grandi, come se qualcuno fosse stato accanto a lui.
Da quel giorno Artem non tornò mai più al fiume. A volte, nelle notti calme, crede di sentire una voce infantile che lo chiama piano dal fondo dell’acqua.