Avevo notato che mio marito era cambiato. Ogni notte usciva di casa in silenzio e tornava solo all’alba. Di giorno sembrava assente, teso, con lo sguardo perso. Quando cercavo di parlargli, mi evitava.
Anche il nostro cane, Dixon, lo sentiva. Ringhiava piano ogni volta che lui prendeva la pala.
Una notte non ce la feci più. Lo seguii nel buio. La luna illuminava debolmente il giardino. Mio marito si fermò vicino al vecchio ciliegio e cominciò a scavare. I suoi gesti erano nervosi, affrettati. Il cuore mi batteva forte, le mani tremavano.
Dopo qualche minuto tirò fuori qualcosa di piccolo, lo posò nel buco e coprì la terra. Poi se ne andò.

La mattina dopo mi disse che sarebbe partito per “qualche giorno”.
Appena fu via, andai nel giardino.
Più scavavo, più la paura cresceva dentro di me. La terra era umida, pesante. Dixon scavava accanto a me, ansimando. All’improvviso la pala urtò qualcosa di duro.
Era una scatolina di legno. Dentro c’erano dei calzini azzurri da neonato, un vecchio orsacchiotto e un braccialetto d’ospedale con scritto Sergei.

Mi fermai. Era il nome di nostro figlio… quello che avevamo perso tanti anni fa.
Sotto gli oggetti c’era una lettera.
Mio marito scriveva che non riusciva più a vivere nel silenzio, che aveva bisogno di un luogo segreto dove ricordarlo.
Le lacrime mi offuscarono la vista. Non era un segreto oscuro… era dolore, puro e silenzioso.
Quando tornò a casa…