Aveva circa sette anni, magra le braccia, il vestitino vecchio e i capelli intrecciati in fretta. I suoi occhi grandi sembravano pieni di paura.
La terza sera decisi di aspettarla. Quando aprii la porta, scappò subito. Mi sentii inquieta, non solo per lei, ma per la strana atmosfera che riempiva il corridoio del mio vecchio palazzo.

Mi promisi che, se fosse tornata, le avrei parlato.
La sera dopo lasciai la porta socchiusa e la luce accesa. Quando udii dei passi leggeri, uscii. Lei era lì.
— Piccola, vuoi qualcosa? — chiesi dolcemente.
Si voltò, tremando.
— Volevo solo guardare…
— Guardare cosa?
— La porta. È come la nostra.
E scappò via.
Il giorno dopo chiesi ai vicini, ma nessuno conosceva una bambina simile. Poco più tardi incontrai una vecchia signora che dava da mangiare ai piccioni. Quando descrissi la bambina, sbiancò.
— Deve essere Anna, — sussurrò. — È morta tre anni fa.

Mi raccontò che viveva nell’appartamento di fronte al mio. Un incendio aveva bloccato la porta, e Anna non era mai uscita. Da allora, alcuni giuravano di averla vista nel corridoio.
Quella sera trovai un disegno davanti alla mia porta: una casa e una bambina che sorrideva. Sotto c’era scritto con grafia infantile: «Ora sono a casa.»
Non la vidi mai più. Ma, certe notti, sento ancora passi leggeri nel corridoio — come se qualcuno fosse tornato, solo per restare un po’ davanti alla mia porta.