Nel cuore di una riserva africana regnava il silenzio. L’aria calda tremolava sopra l’erba secca quando un ruggito disperato squarciò l’orizzonte. Il re della savana era prigioniero: la sua zampa era intrappolata in una morsa di ferro.
Più cercava di liberarsi, più il metallo si stringeva. Il suo ruggito divenne un lamento. Il tramonto tingeva il cielo di rosso, e il leone giaceva esausto, vittima della crudeltà umana.
Non lontano viveva un gruppo di gorilla. Tra loro, una femmina anziana, Nala, saggia e coraggiosa. Quando sentì quel ruggito, il suo istinto le disse che qualcuno aveva bisogno di aiuto.

Si avventurò tra i cespugli finché non trovò il leone. Egli sollevò appena la testa e la guardò, stanco, diffidente. Ma Nala non fuggì.
Si avvicinò lentamente e osservò la trappola. Con una pietra cercò di romperla, senza successo. Poi scavò attorno alla catena, pazientemente, finché riuscì ad aprire il meccanismo.
Il leone, libero, la fissò a lungo. Nessuno dei due si mosse. In quel momento, tra predatore e primate nacque un silenzioso rispetto.

Pochi giorni dopo, i ranger del parco trovarono la trappola rotta. Le telecamere avevano registrato tutto. Il mondo intero rimase senza parole davanti a quell’atto di compassione.
Scienziati e giornalisti parlarono di intelligenza animale, ma per molti fu qualcosa di più: la prova che la bontà non è esclusiva dell’uomo.
Nala insegnò al mondo che la compassione è un linguaggio universale, scritto nel cuore di ogni creatura.