Marina non riusciva a dimenticare quelle parole. Da quando aveva visto Vova, il ragazzo dagli occhi tristi e silenziosi, non riusciva più a stare tranquilla. Ogni sera tornava alla stazione, come se sperasse di vedere sua madre tornare tra la folla.
Ma la madre non tornava mai.
Vova sedeva vicino al vecchio chiosco, circondato dai cani randagi che erano diventati la sua famiglia. Dormivano stretti a lui, condividendo calore e il cibo che Marina portava.

La stazione viveva nel suo ritmo lento — annunci lontani, treni che arrivavano e partivano, e un bambino che non si muoveva, come se aspettasse un treno perduto nel tempo.
— Vova, — disse un giorno Marina, — non puoi vivere qui per sempre. Vieni con me.
Lui restò in silenzio, accarezzando un cane.
— E se la mamma torna? — sussurrò.
Il cuore di Marina si strinse. Non era solo una domanda, era un filo di speranza che lo teneva ancora lì.
— Se torna, saprà dove trovarti, — rispose lei.
Il giorno dopo partirono insieme lungo i binari, seguiti dai cani. Vova camminava piano, stringendo il suo piccolo zaino.
A casa di Marina c’era profumo di pane e zuppa. I cani si sdraiarono vicino alla stufa, e il ragazzo restò immobile, incredulo. Marina gli mise davanti una scodella fumante.
— Mangia. Casa è dove qualcuno ti aspetta.

Passarono settimane. Vova aiutava con i cani, leggeva libri, sorrideva di nuovo.
Un giorno, alla porta, apparve una donna stanca, con occhi pieni di colpa e speranza.
— Cerco mio figlio… Vova…
Il ragazzo uscì correndo e la abbracciò forte. Marina distolse lo sguardo, asciugandosi una lacrima.
Ora la stazione poteva aspettare qualcun altro.