La nave di ricerca Asterion avanzava lentamente tra i ghiacci spessi dell’Antartide quando uno dei sonar rilevò un’anomalia a quasi tremila metri di profondità.

Il team lanciò un sottomarino senza equipaggio e, dopo pochi minuti, sui monitor apparve una forma gigantesca: un oggetto grigio scuro, coperto da una pelle spessa.

Era grande quanto un’auto. Nessuno poteva crederci — era un uovo.

Il capo della spedizione, il dottor Levander, ordinò di portarlo a bordo. L’uovo fu collocato in una capsula refrigerata per conservarne l’ambiente interno.

Dall’interno si udiva un lieve ticchettio, come un battito o uno sfregamento. Tutti rimasero in silenzio, tesi.

Nel laboratorio, lo esaminarono con gli scanner. Apparvero sullo schermo una lunga coda, potenti pinne e una testa con denti affilati. La paleobiologa Anita impallidì.

Disse sottovoce che quella forma assomigliava a un mosasauro, un predatore scomparso sessantasei milioni di anni fa. Gli altri risero, ma l’analisi del DNA confermò l’impossibile: avevano trovato il discendente di un mostro preistorico.

Improvvisamente, i sensori registrarono forti urti sotto la nave. Qualcosa di immenso si stava avvicinando. Lo scafo vibrò.

Levander ordinò di spostarsi verso la costa, ma era troppo tardi. Sul sonar comparve un’enorme sagoma, molto più grande di un mosasauro. Probabilmente… la madre.

In quell’istante la superficie dell’uovo si incrinò. Un grido acuto riecheggiò. La squadra fu presa dal panico. Levander voleva interrompere la schiusa, ma Anita urlò: «Non possiamo! È la scoperta del secolo!»

Un colpo tremendo fece oscillare la nave. Due occhi luminosi apparvero nell’acqua nera. L’uovo si ruppe del tutto, e una piccola creatura con denti aguzzi emerse, emettendo un ruggito.

Fuori, l’oceano ribolliva. La madre stava girando furiosa intorno alla nave. Rapidamente, calarono la capsula in mare. La gigantesca creatura afferrò con delicatezza il suo piccolo e scomparve nelle profondità.

Levander guardò l’acqua che si richiudeva e mormorò:
«L’Antartide non è morta. Le sue profondità custodiscono ancora la vita del passato.»

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