Si racconta che un uomo, un giorno, si sia svegliato con un’idea così grande da superare i limiti della ragione. Quest’uomo si chiamava Oleg, e il suo sogno non era costruire un impero, ma un regno di rispetto tra l’uomo e gli animali.
Vendette la sua casa, lasciò la città e scambiò il cemento con la terra, il silenzio della notte con i ruggiti del vento e dei leoni. Voleva che il mondo vedesse ciò che vedeva lui: la bellezza selvaggia come uno specchio dell’anima umana.

Al Taigan ogni mattina nasceva come un miracolo. I leoni si stiravano nella luce dorata, le tigri camminavano libere tra i visitatori. Alcuni lo chiamavano folle, altri un profeta moderno.
Ma lui rispondeva soltanto:
«Sto solo restituendo loro la libertà che gli è stata tolta.»

Per anni li ha nutriti, curati e amati. Le sue mani portavano i segni delle unghie, ma il suo sguardo non conosceva paura.
Ma il mondo non ama chi disturba la sua comodità. Un giorno, quelli che voleva illuminare chiusero le porte del sogno e imprigionarono colui che voleva solo condividere l’amore.
Ma non si può rinchiudere un’anima libera.
Anche dietro le sbarre sentiva i ruggiti dei suoi leoni — come preghiere nel deserto.

E migliaia di cuori accendevano la stessa fiamma: il sogno del Taigan non deve morire.
Quando Oleg tornerà nel suo parco, sarà il trionfo della verità sulla paura, del cuore sulla legge, del sogno sulla gabbia.
E quel giorno, anche i leoni piangeranno di gioia.