Era una fredda mattina d’inverno. L’autobus avanzava lentamente sulla strada coperta di neve. Fuori, i fiocchi cadevano nel fascio dei fari; dentro, pochi passeggeri in silenzio.
L’autista, Andrea, conosceva bene quel percorso, ma improvvisamente notò una macchia scura davanti a sé.
Rallentò, guardò meglio. Non era spazzatura. Si muoveva.
Erano cuccioli — una decina, forse più — accovacciati insieme nel mezzo della strada. Non fuggivano, sembravano aspettare qualcosa.

Andrea spense il motore e scese. L’aria gelida gli tagliò il viso. I cuccioli si spostarono piano, come per lasciargli passare.
E allora vide la verità.
Al centro giaceva una cagna grande, immobile. La madre. Il pelo coperto di ghiaccio, le zampe tese come per proteggerli. I piccoli la circondavano, cercando ancora calore.
Andrea si inginocchiò, la gola stretta. Non poteva lasciarli lì.
– Forza, piccoli… venite con me, sussurrò.

Tornò all’autobus, prese una vecchia coperta e raccolse i cuccioli tremanti. Nessuno si oppose.
Solo uno, color miele, si voltava di continuo verso il punto dove giaceva la madre.
Quando il bus ripartì, nessuno parlò. Alcuni passeggeri asciugarono una lacrima.
I cuccioli, stretti insieme sulla coperta, si addormentarono — finalmente al caldo.
Una settimana dopo, Andrea tornò su quella strada.
Sulla neve piantò un cartello di legno:
«Qui la strada si è fermata. E una nuova vita è cominciata.»